La Fondazione
La Fondazione Maria Luisa Pastorelli ETS è stata fondata dall’artista nel 2005, e iscritta al Registro Unico Nazionale del Terzo Settore nel 2024.
Scopo della Fondazione è, oltre a promuovere la conservazione e la conoscenza dell’opera artistica di Maria Luisa Pastorelli, quella di promuovere la scoperta di nuovi talenti dell’arte figurativa contemporanea, e contribuire al sostentamento di giovani artisti europei alla fine dell’iter di formazione accademica.
L’artista, scomparsa a Pavia il 14 luglio 2007, fu allieva di Carlo Carrà, e si formò nella Brera del secondo dopoguerra, prendendo parte a quel cenacolo artistico-culturale, così ricco di giovani talenti, che fortemente ha segnato il panorama artistico del nostro Paese nella seconda metà del Novecento. Di quegli anni braidensi fervidi di speranze e di voglia di riscatto, Elena Pontiggia ci offre un intensissimo ritratto nell’introduzione a un volume che raccoglie alcune delle opere più significative dell’artista, di prossima pubblicazione.
A ragione oggi possiamo considerare Maria Luisa Pastorelli come una significativa esponente, sul versante artistico, di una generazione che invano il fascismo aveva cercato di ‘normalizzare’ e che ha saputo ribellarsi al quasi generale riflusso conformista nei difficili anni della ricostruzione postbellica, una volta spenti gli entusiasmi e le speranze della lotta di liberazione. Ed è stata proprio questa generazione – e basti qui pensare al suo contributo nel campo letterario e in quello del cinema – a segnare, nel ventennio a ridosso della guerra, il periodo più luminoso e produttivo della cultura italiana del Novecento. La coscienza dei giovani artisti di quegli anni cruciali fu attraversata dalla consapevolezza che con il crollo della vecchia Europa era davvero finito un mondo e che quello nuovo che stava nascendo era tutto da decifrare a da interpretare.
Carrà, Funi, Carpi rappresentarono, per quel manipolo di giovani desiderosi di affermarsi in un mondo che non poteva ancora accorgersi della loro freschezza e della loro carica innovativa, l’anello di congiunzione con la tradizione, che rimaneva tuttavia una questione soggettiva. L’interesse di Maria Luisa Pastorelli non va, a differenza di molti suoi compagni, alla pur significativa tradizione dell’Ottocento e del primo Novecento italiano e nemmeno alle celebrate età precedenti, ma alla pura, cristallina, intensa pittura di Giotto, di Frà Angelico e di Piero della Francesca. Dallo studio attento di questi tre maestri, grazie alla mediazione di Carrà, Maria Luisa Pastorelli giunge ad una personalissima sintesi tra l’uso in purezza e morbidezza del colore e la costruzione compositiva. Entriamo così in un mondo di esistenze e di cose pervase dalla malinconia. É il senso della fragilità e della precarietà dell’esistenza a caratterizzare il mondo dell’artista (almeno nell’intervallo di tempo che si situa tra Brera e il matrimonio, alla fine del ’53), che con queste prime opere ci dona nuovi occhi per attraversare il mistero del senso profondo della vita. I personaggi e le cose ritratti e fissati sulla tela o sulla carta vengono così a trascendere l’attimo fuggente che le coglie in una dimensione spaziale e temporale specifiche e partecipano alla dimensione dell’eterno.
Nell’opera dell’artista il matrimonio e la maternità (nel ’57 nasce il figlio Andrea e nel ’60 la figlia Lucia) aprono una parentesi segnata da un netto calo produttivo, ma anche da un altrettanto marcato abbandono di uno stile espressivo, per sperimentare nuove soluzioni tecniche (la spatola viene a prendere un netto sopravvento sul pennello, mentre il contè e la sanguigna vengono abbandonati per la tempera e la china) espressive (il colore perde la purezza e la morbidezza originari per diventare più aggressivo) e tematiche (alla ricerca del mondo interiore di personaggi e cose subentra la descrizione di paesaggi e volti familiari).
É questo anche il periodo in cui l’artista si dedica all’educazione artistica delle giovani generazioni, ottenendo risultati di rilievo per sé e per gli allievi. Innumerevoli furono infatti i riconoscimenti a livello sia nazionale, sia internazionale, che si susseguirono in quegli anni dinamici e intensi. Questo è del resto il periodo che l’artista considererà, retrospettivamente, come il più significativo dell’intera sua esistenza, umilmente anteponendo proprio il contributo offerto allo sviluppo della creatività dei giovani, rispetto a quello offerto all’arte dalla sua stessa produzione pittorica, che viene a comprendere, nel suo complesso, più di un migliaio di opere.
Questa parentesi si chiuse verso la fine degli anni ’70, quando l’arti- sta decise di lasciare l’insegnamento per ritornare a dedicarsi a tempo pieno alla pittura. A poche decine di metri dalle rive del Ticino, a Pavia, l’artista aprì uno studio di pittura, dove per quasi un ventennio si recò quotidianamente, nelle ore pomeridiane, cercando così quasi di prolunga- re nell’età matura i mitici anni verdi braidensi. E non a caso ritornano le tecniche e i temi che così fortemente avevano caratterizzato quel fecondo primo periodo espressivo, inserendosi tuttavia in una nuova dimensione temporale ed esistenziale.
Alla ricerca di senso e di significato così predominanti negli anni giovanili subentra la rappresentazione di un mondo interiore fatto di cose e figure conosciute nel proprio personalissimo immaginario. L’artista ci fa così partecipi di tracce, istanti di vita quotidiana vissuti sia nella realtà, sia nella fantasia. Con la produzione degli anni della maturità l’artista ci consente di visitare il proprio mondo segreto, i paesaggi di un’anima che vivono nel ricordo e dal ricordo sono necessariamente trasfigurati. Le scene di vita domestica, i luoghi amati, gli oggetti cari, ed anche ciò che resta dei sogni, ci vengono così consegnati, e con questo atto d’amore si compie anche l’estremo distacco dell’artista dal proprio mondo.
Non a caso Maria Luisa Pastorelli decise di non dipingere più (pur essendo ancora del tutto padrona, come è del resto testimoniato dalle ultime opere, delle tecniche espressive) nel momento in cui considerò esaurita la rappresentazione del proprio mondo interiore. Semplicemente e improvvisamente, l’artista si rese conto di non aver più nulla di significativo da svelarci. Ciò accadde nel ’93, e da allora sino alla sua scomparsa, Maria Luisa Pastorelli non toccò più il pennello, nemmeno quando le affettuose pressioni in tal senso da parte delle persone a lei più care si fecero particolarmente insistenti.
Persa la speranza di indurre l’artista a rivedere una decisione così drastica, i figli si adoperarono a persuaderla a donare tutte le sue opere a una fondazione che avrebbe recato il suo nome, il cui scopo principale sarebbe stato quello di aiutare i giovani talenti braidensi ad affermarsi in un mercato dell’arte generalmente governato dalla ferrea e cinica legge del conformismo a mode e gusti imposti da un manipolo di critici sempre più autoreferenziali. Con l’imminente creazione, presso l’Accademia di Brera, di un premio intitolato all’artista, si intende avviare un primo passo teso a promuovere e far riconoscere l’eccellenza nell’ambiente stesso che vide Maria Luisa Pastorelli muovere i primi passi artistici. É nell’intenzione della Fondazione integrare il premio con delle borse di studio post-laurea, e molto dipende, circa la loro consistenza, dal riscontro che si avrà, nel tempo, dalla valorizzazione nel mercato dell’arte dell’opera dell’artista.
Con il riconoscimento della Fondazione quale Ente del Terzo Settore si è voluto compiere il primo passo. E ci auguriamo che con quelli che seguiranno il grande pubblico possa riconoscere, nelle opere che Maria Luisa Pastorelli ci ha lasciato, tutta la passione e l’amore per l’arte che caratterizzò e diede un senso profondo alla sua vita.
Il Presidente